martedì 19 febbraio 2013

In Sardegna biomasse per lo sviluppo. Un esempio da imitare


[ di Valter Cirillo ]  È di questi giorni la notizia di un progetto per sostenere la produzione di biomasse forestali a fini energetici in Sardegna. L’obiettivo è di aiutare finanziariamente 400 aziende agricole, offrendogli contratti di 15 anni per la fornitura di legno di eucalipto coltivato, da destinare alla generazione elettrica in un impianto di Enel Green Power.

Qual è l'impianto in questione non viene detto, ma è facile indovinare che si tratta della centrale “Grazia Deledda” di Portoscuso (Carbonia-Iglesias), l’unica gestita da Enel in Sardegna che utilizzi biomasse.

La centrale, che ha una potenza complessiva di 590 MW, è composta da due sezioni a carbone, in una delle quali, da 350 MW, il polverino di carbone è miscelato con una quota di legno vergine triturato.
La capacità a biomasse dell’impianto è stata recentemente incrementata da 30 tonnellate l’ora alle attuali 45 t/h di cippato di legno, che  fino a pochi anni fa erano interamente di importazione (prevalentemente dal Portogallo), mentre ora provengono in parte dall’estero e in parte da produttori sardi.

 È evidente che l’accordo per potenziare la coltivazione di eucalipto a fini energetici mira a ridurre le importazioni dall’estero, con evidenti vantaggi per tutti. Da un lato infatti, c’è la valorizzazione di aree rurali depresse o poco remunerative, con stimolo sia allo sviluppo economico sia all’occupazione (e 400 aziende agricole non mi sembrano poco); dall’altro si riducono le importazioni e si potenzia la generazione elettrica da fonti rinnovabili, con riduzione delle emissioni di CO2 e aumento complessivo della sostenibilità sociale e ambientale.

È quest’ultimo punto che mi preme sottolineare, quello della sostenibilità ambientale e sociale. Infatti a me sembra evidente che il sostegno alle coltivazioni energetiche, in aree rurali depresse e in terreni marginali, andrebbe favorito su larga scala. Esattamente per gli stessi vantaggi citati nel caso della Sardegna, ai quali aggiungerei anche il fatto che queste coltivazioni, se fatte in modo


venerdì 15 febbraio 2013

C'è una imprenditoria italiana ancora in grado di dare piacevoli sorprese. Il caso del mini-idro

[di Aldo Crispi] Su un giornale finanziario americano mi è capitato di leggere una news relativa all’acquisto di una piccola società francese (MJ2 Technologie, specializzata in particolari impianti mini-idro) da parte dell’italiana Sorgent.e, società con sede a Padova, attiva nelle fonti rinnovabili. La cosa mi ha incuriosito, perché non conoscevo la società (Sorgent.e non è nemmeno quotata in borsa) che nella news, a seguito di questa acquisizione, veniva definita “leader internazionale nel mini-idro”.

Turbina VLH in fase di montaggio e,
sotto, l'impianto completato
Ho quindi pensato ad una delle tante piccole e medie imprese che sono l’ossatura del sistema industriale italiano. Ma mi è bastata una veloce indagine on line per capire che ero fuori strada e che l’imprenditorialità italiana è ancora in grado di dare piacevoli sorprese.
Si tratta infatti di una azienda in cui investono fondi internazionali di prima grandezza (come l’americano Amber Capital), che realizza impianti di piccola taglia (fino a una decina di MW di potenza o poco più), ma lavora in decine di Paesi di tutto il mondo, in forte espansione, con progetti nell'energia (per circa 500 MW solo nell’eolico) ma non solo. In Brasile, tanto per dire, sta mettendo su una joint-venture per investimenti immobiliari da 1 miliardo di dollari.

L’aspetto interessante, nell’acquisizione della francese MJ2, è che Sorgent.e diventa di fatto titolare di un brevetto internazionale relativo ad una turbina mini-idro di nuova concezione, denominata VLH (Very Low Head), con potenza fino a di 500 kW, progettata per sfruttare bassissimi salti di acqua, da 1,5 a 3 metri, quasi senza impatto ambientale e realmente fish friendly, visto che i pesci passano senza troppi problemi tra le pale della turbina.

Si tratta di un tipo di impianto adatto a sfruttare situazioni che non vengono nemmeno considerate dall’idroelettrico convenzionale, il quale richiede forti dislivelli oppure gigantesche portate di acqua. Situazioni, quest’ultime, ancora frequenti nei Paesi in via di sviluppo, ma sempre più rare nei Paesi industrializzati, dove in ogni caso potrebbero essere sfruttate con molta difficoltà, a causa del rilevate impatto ambientale.

Invece salti di 1,5-3 metri, con portate di 10-20 metri cubi/secondo, si contano probabilmente a milioni nel mondo. E sono tutt'altro che rari anche nei Paesi più sviluppati, dove si possono realizzare anche al di fuori degli ambienti naturali (per esempio

giovedì 17 gennaio 2013

I Verdi scompaiono? Forse è meglio così!


[di Valter Cirilllo]   Mi ha fatto riflettere l’articolo di Aldo Cazzullo sul Corriere del 10 gennaio (dall’eloquente titolo La scomparsa degli ecologisti), che rileva come in Italia, a differenza di altri Paesi,  i Verdi siano sostanzialmente scomparsi dalla scena politica. Il problema, osserva Cazzullo, non è solo di rappresentanza, ma soprattutto di iniziativa politica, nel senso che nelle agende politiche di questo e quel partito le tematiche ambientali sono praticamente scomparse, sotto l’incalzare della recessione e dei problemi legati alla produzione, all’occupazione e allo sviluppo quantitativo del Paese.

Personalmente sono consapevole della centralità del tema ambientale, sia locale, sia globale, in un mondo che ha superato i 7 miliardi di abitanti e si avvia a doverne far convivere quasi 10.
A metà degli anni ’80 fondai (insieme ad un gruppo di amici ben più qualificati di me) la rivista Ambiente, di cui sono stato per 7 anni il direttore responsabile; parecchie battaglie, nel mio piccolo, le ho fatte anch’io, quasi sempre dalla parte apparentemente perdente (cioè non intransigente e attenta anche alle necessità dello sviluppo economico); ho sempre avuto un atteggiamento attento a ridurre l’impatto ambientale mio e della mia famiglia, anche con qualche sacrifico personale. Insomma,
saranno cose da poco, ma a me bastano per considerarmi un ambientalista convinto. E tuttavia l’eventuale scomparsa dei movimenti ecologisti e dei Verdi (intesi come movimento politico) mi lascia del tutto indifferente. Anzi, mi sembra  un segno positivo. E per vari motivi, di cui, per brevità, cito solo uno.

Si tratta di un motivo quasi fisiologico, legato al fatto che quando una

domenica 17 aprile 2011

E, intanto, che fine ha fatto l'efficienza energetica?


Nel post di ieri ho provato a ricordare i motivi per cui la situazione energetica internazionale sta velocemente scivolando su una china davvero pericolosa per i Paesi che, come l’Italia, dipendono quasi totalmente dalle importazioni.
Da noi le beghe di Berlusconi & C. saturano il panorama informativo, ma anche così non è che segnali evidenti non arrivino alle tasche degli italiani.
A parte gli addetti ai lavori, secondo me ancora nessuno si è accorto che è stato chiuso uno dei principali gasdotti che ci porta il gas dal Nord Africa, che le importazioni di petrolio dalla Libia si sono interrotte, che sono a rischio molte altre forniture di petrolio e gas e persino che il prezzo del greggio è arrivato oltre i 110 dollari al barile.
Però che il prezzo dell’elettricità e della benzina salga di continuo è sotto gli occhi (e le tasche) di tutti.
I consumi di energia nel 2010 sono saliti del 2%, ma la bolletta energetica è salita del 23%. Solo nel mese di aprile le bollette degli italiani sono aumentate mediamente del 3% ed è certo che nuovi aumenti ci attendono nei prossimi trimestri.

Il fatto che dipendiamo quasi totalmente dalle importazioni, in situazioni “normali” è costoso, ma può non essere drammatico. Ma in questa situazione, mentre sottostiamo alla spada di Damocle di eventi internazionali su cui non abbiamo alcuna possibilità di intervento, la cosa ci rende estremamente vulnerabili.

Possiamo fare qualcosa per aiutarci a ridurre questa vulnerabilità?
Molto poco. Ma poco è meglio di niente. E il poco che possiamo fare, ora come ora, credo sia solo sul fronte della riduzione dei consumi.

Da anni il governo ha preso l’impegno di varare una grande campagna di informazione sull’efficienza e il risparmio energetico. Invece le uniche campagne di informazione che vedo in giro, per quanto minimali, sono solo per tentare di

sabato 16 aprile 2011

Sono cambiate le priorità energetiche e climatiche e non ce ne siano accorti?

Tranne i politici – impegnatissimi a salvaguardare il sacrosanto diritto del più forte di poter fare quello che gli pare – non conosco una sola persona che si occupa di energia che non sia maledettamente preoccupata della situazione internazionale e delle possibili conseguenze per il nostro Paese.

Tensioni geopolitiche nei Paesi produttori di petrolio del nord Africa e del Medio Oriente; guerra civile in Libia con interruzione dei rifornimenti di gas e petrolio; terremoto in Giappone con relative conseguenze sul futuro del nucleare e sui mercati di petrolio e gas; forte aumento del prezzo di petrolio e prodotti petroliferi con possibile ripresa dell'inflazione e aggravamento della crisi economica.
Mai, in così breve tempo, tanti elementi negativi si sono abbattuti su un settore strategico come l'energia. Con conseguenze in parte impossibili da valutare nella loro potenziale gravità, ma in parte quasi scontate.

Tra queste ultime c'è la certezza che a livello mondiale il costo dell’energia, al di là del balzo che ha già fatto, costerà ancora di più. E di molto, se i programmi nucleari dovessero davvero essere ridimensionati, perché nel mondo reale, quello concreto dei fatti, proprio non esiste il quesito “con che cosa si può sostituire la potenza nucleare?”. Si può sostituire solo con le fonti fossili. Le rinnovabili, in questo, non hanno alcun ruolo, a parte i grandi impianti idroelettrici, che però non si fanno in qualche mese e certamente non si possono fare ovunque.
Il che vuol dire più petrolio, più gas e (soprattutto) più carbone.

Ne deriva (seconda conseguenza scontata) che sarà più difficile e più costoso raggiungere gli ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra, nonostante il possibile forte sviluppo delle fonti rinnovabili. Al riguardo mi permetto di dare qui – a titolo di esempio - un dato piccolo piccolo che non troverete in nessuno degli organi di informazione pieni di esaltanti notizie sullo sviluppo delle rinnovabili. E riguarda la Cina, che, come immagino saprete, è diventato (e di gran lunga) il maggior Paese al mondo nello sviluppo delle rinnovabili. Ebbene pur con tutti gli sforzi in questo settore, nel 2009 la quota di energia primaria soddisfatta in Cina con le rinnovabili non è aumentata, ma scesa all’8% (dal 9% del 2008).

In tutto questo qui in Italia nessuno si preoccupa dell'incertezza delle fonti e dei Paesi da cui ci approvvigioniamo per le nostre esigenze energetiche? Nessuno si ricorda che quello dei costi è un problema che se non è controllato ha ripercussioni drammatiche sulla competitività del Paese, e quindi sui salari e sull’occupazione?

Se un alieno dovesse decidere di atterrare in Italia, si convincerebbe facilmente che i terrestri hanno solo due problemi energetici: salvaguardare gli incentivi per il fotovoltaico e impedire che si parli di nucleare.
Ma scusate, fino a qualche mese fa il principale problema della Terra – quello suscettibile di causare sconvolgimenti biblici e catastrofi apocalittiche – non era l’eccessiva emissione di gas serra e il conseguente riscaldamento climatico? Non ci sono più questi rischi? Sono cambiate le priorità e non me ne sono accorto?  Per favore illuminatemi!

sabato 9 aprile 2011

Et voilà! Il pompaggio dal cilindro

Ieri il ministro Paolo Romani ha fatto una affermazione sorprendente. Nel senso che è stata una vera sorpresa, una sorta di fulmine a ciel sereno.
Rispondendo ad un’interrogazione in Senato, il Ministro dello Sviluppo Economico ha affermato che la soluzione ai problemi energetici dell’Italia potrebbe essere il caro vecchio idroelettrico. «Stiamo studiando lo schema dei pompaggi – ha detto Romani - che potrebbero complessivamente generare una potenza installata di qualcosa come 15.000 MW, che teoricamente potrebbero sostituire le centrali nucleari che avevamo immaginato».


Si noti quel “avevamo immaginato” che suona come una pietra tombale sul rilancio del nucleare. Peraltro rafforzata dalla successiva affermazione del Ministro, sul fatto che lo stop al nucleare rende necessario «rivedere il piano energetico nazionale complessivo» e che a tal fine «è giunto il momento di fare la Conferenza nazionale sull’energia». Dico che questa seconda affermazione rafforza quanto evoca la prima perchè è ben noto che parlare di programmazione in Italia è solo un espediente per rinviare alle calende greche. Nè è chiaro a quale piano energetico nazionale faccia riferimento Romani, dato che l’ultimo varato (e mai rispettato) risale al 1988, mentre l’ultimo tentativo di realizzarne uno risale, se non sbaglio, al '92.
È invece chiarissimo che il Governo sta annaspando tra idee fantasiose e vacuità d’azione.

L’idroelettrico è stata una risorsa storicamente fondamentale per lo sviluppo energetico italiano. Tra i grandi Paesi industrializzati siamo tra quelli che ancora ne beneficiano maggiormente: nel 2010 ha coperto il 18,3% dell’energia elettrica prodotta in Italia (dati Terna).
Abbiamo in esercizio 2.256 impianti, di cui 1.270 micro e mini (con potenza inferiore a 1 MW), 682 con potenza compresa tra 1 e 10 MW, e 304 di taglia maggiore ai 10 MW (di cui 17 con potenza superiore a 200 MW).
Di tutti questi impianti 22 sono a pompaggio, prevalentemente di tipo

lunedì 4 aprile 2011

L'incidente di Fukushima e la catastrofe dell'informazione

Per lavoro sono obbligato a informarmi sull’evoluzione del mercato e delle tecnologie energetiche. In pratica, ogni giorno passo un paio d’ore a leggere comunicati e news di siti specializzati italiani e esteri, che dopo una certa esperienza ho così selezionato: 2 italiani, 6 esteri, più un paio di siti di agenzie internazionali.
Quelli italiani sono i siti di due agenzie specializzate: Staffetta Quotidiana e Quotidiano Energia. Due strumenti eccellenti per chi deve informarsi sull’evoluzione del mercato energetico dal punto di vista economico, normativo e industriale. Che tuttavia proprio non posso raccomandare, a causa di un piccolo, venale dettaglio. Per leggerli occorre abbonarsi, e l’abbonamento costa circa 1.200 euro l'anno, per ciascuno.

Ora, per me è un investimento di lavoro e va bene. Ma sono comunque soldi che risparmierei volentieri. Solo che non posso, perché (a mio modesto parere) non ho alternative.
Sto dicendo che in Italia non trovo una sola fonte di informazione liberamente disponibile che dia informazioni attendibili, cioè che siano un minimo verificate, adeguatamente inquadrate in un contesto più generale, che tengano conto anche degli aspetti economici e (soprattutto) che non si basino su presupposti ideologici.
Se ho ragione, ditemi voi su cosa si dovrebbe basare la “pausa di riflessione” che ora i cittadini italiani dovrebbero fare sul nucleare. Dove dovrebbero trovare le informazioni per riflettere?
Perché di una cosa sono assolutamente certo: il panorama dell’informazione italiana sull’energia è davvero desolante. Per molti motivi, ma in particolare perché

giovedì 24 marzo 2011

La sostenibilità economica delle rinnovabili secondo l'Autorità per l'energia

Ancora a proposito di rinnovabili e di incentivi al fotovoltaico, mi si consenta di consigliare - a quanti vogliono farsi un'idea della realtà - la lettura di quanto afferma l'Autorità per l'Energia (AEEG). C'è ampia scelta, tra le relazioni annuali e le audizioni del presidente dell'Autorità al Parlamento. Tutta roba reperibile sul sito dell'AEEG. Qui, per brevità, riporto integralmente la parte sulle rinnovabili del comunicato stampa del 7 febbraio 2011. Uno stralcio sintetico, ma esauriente.

«L'Autorità ha espresso ripetutamente, nel corso degli ultimi anni, la convinzione che le fonti rinnovabili costituiscano, per il nostro Paese, una grande opportunità non solo per quanto strettamente attiene la diversificazione delle fonti e la protezione ambientale, ma anche per la ricerca, la filiera industriale e l'occupazione. Proprio per questo, i sistemi di incentivazione ed i relativi oneri di sistema in bolletta dovrebbero essere definiti e dimensionati con criteri di massima efficienza e secondo livelli di sicura sostenibilità.
«Per le bollette degli italiani si profila invece il rischio di una stangata rinnovabili per effetto di un sistema di incentivi, fra i più profittevoli al mondo, con un impatto crescente in bolletta: dai 2,5 miliardi di euro del 2009 si è passati ai 3,4 del 2010 e nel 2011 potrebbe arrivare, in assenza di interventi, fino a 5,7 miliardi di euro.

«Nel dettaglio, dal 2001 ad oggi, gli italiani hanno pagato oltre 23 miliardi di euro in bolletta per il sistema Cip 6 (a sostegno alle fonti rinnovabili e assimilate) e, nonostante la prevista risoluzione anticipata delle convenzioni, i costi potrebbero nuovamente aumentare per effetto di recenti leggi che hanno riconosciuto incentivi Cip 6 anche agli impianti alimentati da rifiuti. Nel 2010 il Cip 6, con esclusivo riferimento alle fonti rinnovabili, ha comportato un onere di 0,78 miliardi di euro. Se ad esse si sommano le fonti assimilate, il costo complessivo scaricato in bolletta è stato pari a circa 1,8 miliardi di euro.

«Ad appesantire le future bollette, vi è poi il possibile raddoppio dei costi a 1,6 miliardi di euro (il comunicato dice 1,6 milioni, ma è una evidente svista, come si può verificare dalla relazione estesa - ndr) legati all'eccesso di offerta di certificati verdi ed alla crescita esponenziale degli incentivi al fotovoltaico, (aumentati da 300 milioni di euro del 2009 a 826 milioni nel 2010) e l'eventualità di triplicare nel 2011. Infatti, secondo le migliori stime ad oggi possibili, se tutti gli impianti che cono stati dichiarati terminati (salvo gli indispensabili ed urgenti controlli) entrassero realmente in esercizio entro il 30 giugno 2011, in Italia potrebbero esserci a quella data 180.000 impianti fotovoltaici, con una potenza installata di 6.500 MW, una producibilità di 8 TWh e un conseguente costo per il sistema elettrico prossimo ai 3 miliardi di euro su base annua.
«Se a questi impianti si aggiungessero i 3.000 MW preventivati con il decreto 6 agosto 2010, l'obiettivo nazionale al 2020 per il fotovoltaico, verrebbe raggiunto già nel 2013, con 7 anni di anticipo ed a costi molto più elevati per il sistema, sulla base di tecnologie più costose e meno efficienti rispetto a quelle che potrebbero svilupparsi nei prossimi anni.

«Infine vi è la tariffa fissa onnicomprensiva che ha comportato un costo in bolletta di circa 112 milioni di euro nel 2009, 212 milioni nel 2010 con previsione di rapida crescita per l'entrata in esercizio di nuovi impianti.

«Tutto ciò impatta sulle già evidenti criticità a livello di reti; criticità relative alla saturazione virtuale (per effetto della prenotazione di capacità di trasporto a fini speculativi, senza che poi vengano realizzati gli impianti) e di saturazione reale che, in alcune zone del paese, già oggi non consente di trasportare tutta la produzione elettrica da rinnovabili immessa in rete».

mercoledì 23 marzo 2011

Ci sono rinnovabili e rinnovabili

Vengo regolarmente accusato di essere un filonucleare. Che è vero. Non vengo invece mai accusato di essere un "filo-rinnovabili", che pure è altrettanto vero. E questo fatto mi piace ribadirlo nel momento in cui si discute di incentivi al fotovoltaico, perchè trovo poco serio (direi quasi stupido) il fatto che di questo in realtà si sta dicutendo, cioè di incentivi al fotovoltaico, invece di incentivi alle rinnovabili, come si dovrebbe fare.
Per farla molto breve, personalmente ridurrei drasticamente gli incentivi al fotovoltaico. Perchè: 1) si tratta di una tecnologia interamente importata, 2) la resa energetica della tecnologia e il suo impatto sulla riduzione delle emissioni (che poi è lo scopo per cui la fonte dovrebbe essere incentivata) è risibile, 3) il rapporto costi/benefici è drammaticamente negativo, 4) si sottraggono risorse ingentissime alle altre fonti rinnovabili, come periodicamente ricorda l'Autorità per l'Energia, 5) si permette scriteriatamente di installare una rilevante potenza elettrica di una tecnologia che è in rapida evoluzione, nel senso che solo tra 2-3 anni sarà molto più efficiente e meno costosa, ma che noi non potremo sfruttare perchè l'abbiamo già fatto con quella vecchia, 6) ha un forte impatto negativo sulle reti elettriche, data la parcellizzazione degli impianti (come nessun'altra fonte rinnovabile), imponendo ingenti investimenti per l'adeguamento delle reti di distribuzione (investimenti che senza fotovoltaico in gran parte si potrebbero risparmiare, e che peraltro nessuno si ricorda di imputare ai costi di questa fonte), 7) non si fa per niente quello che si dovrebbe fare, cioè finanziare la ricerca per sviluppare un sistema industriale fotovoltaico nazionale.

Sono invece a favore di tutte le altre fonti, con qualche distinguo per l'eolico, nel senso che sono decisamente troppi gli impianti realizzati solo per

lunedì 21 marzo 2011

Le motivate ragioni filonucleari di Umberto Veronesi

Sulle pagine di Repubblica del 19 marzo, Umberto Veronesi (che, ricordiamo, oltre che celeberrimo oncologo, è anche il presidente della neonata Agenzia per la sicurezza nucleare) ha spiegato perché, pur alla luce dei recenti avvenimenti alla centrale nucleare giapponese di Fukushima, egli continua a restare favorevole allo sviluppo dell’energia nucleare in Italia.

Siccome è difficile spiegare queste ragioni meglio di quanto abbia fatto Veronesi, ne riporto qui la parte saliente per i miei lettori che non leggono Repubblica.

«Se è vero – ed è scientificamente vero – che senza l’energia nucleare il nostro pianeta, con tutti i suoi abitanti, non sopravviverà, non dobbiamo fare marcia indietro, ma andare avanti, ancora più in là, con la conoscenza e il pensiero scientifico. Dobbiamo pensare al futuro tenendo conto che petrolio, carbone e gas hanno i decenni contati e che sono nelle mani di pochissimi Paesi, che possono fare delle fonti di energia strumento di ricatto economico e politico; che stiamo avvicinandoci ai 7 miliardi di persone sulla Terra, con consumi sempre maggiori di energia; che le altre fonti di energia, le rinnovabili, hanno grandi potenzialità, ma per alcune non abbiamo le tecnologie che rendano accessibili i costi di trasformazione e globalmente non sono sfruttabili in modo tale da assicurare la copertura del fabbisogno».

«La scelta dell’energia nucleare è dunque inevitabile – conclude Veronesi - e il nostro compito è ora quello di garantirne al massimo la sicurezza per l’uomo e per l’ambiente. Abbiamo per anni sostenuto che gli impianti di ultima generazione sono sicuri e con un rischio di incidente vicino allo zero. Oggi il Giappone ci impone di riconsiderare criticamente questa convinzione.

Molti si domandano se il modello delle centrali nucleari di grossa taglia, come sono oggi tutte quelle del mondo, sia quello di continuare a realizzare; oppure se non è possibile e opportuno considerare l’adozione di reattori più piccoli e modulari: una rete di minireattori. Alcuni di questi modelli progettuali sono già in produzione e dovremo studiarne a fondo le caratteristiche e la fattibilità.

La tragedia giapponese ci impone dunque di pensare fuori dalle logiche nazionali. È evidente ora che i piani energetici devono essere discussi a livello internazionale. In Italia ci troviamo nella circostanza favorevole di partire da zero e quindi poter scegliere, senza fretta, il modello strategico migliore».

mercoledì 16 marzo 2011

Il nucleare di Antonio Di Pietrusconi

Riprendo questo blog dopo 6 mesi passati all’estero, negli States, per lavoro. E siccome il mio inglese non è ancora perfetto, mi sono imposto di non leggere nulla né scrivere nulla in italiano. Per cui ho abbandonato anche il blog. Ma devo riprenderlo per forza, per i molti (circa 2.000 lettori unici/mese) che hanno visitato energy-mix anche non aggiornato, e per i 43 che mi hanno scritto chiedendomi di continuare. E che ringrazio quasi commosso.

Lo spunto per riprendere mi viene dalla trasmissione “Porta a Porta” del 15 marzo, che Bruno Vespa ha dedicato al nucleare alla luce delle vicende giapponesi.

Di questa trasmissione mi ha colpito in particolare l’intervento di Antonio di Pietro. Interessante, dal mio punto di vista, perché è stato un esempio eclatante di come NON si dovrebbe parlare di cose serie, come l’energia, anche in un momento (forse, soprattutto in un momento) i cui ci si dibatte in vicende drammatiche.

Prima di proseguire mi sembra opportuno ricordare che sono politicamente di sinistra, che sono favorevole al nucleare in quanto ritengo che nell’attuale situazione mondiale sia indispensabile ricorrere a tutte (ma proprio tutte) le opzioni tecnologiche disponibili, e che l’obiettivo fondamentale (la priorità) per l’Italia sia di rimanere economicamente e tecnologicamente competitiva a livello internazionale.

Ora, è evidente che Di Pietro (che grazieaddio ha molta tenacia politica, un solido senso civico e molte competenze in fatto di giustizia) di energia non sa niente. Ne parla perché è a capo si un movimento politico e – giustamente – deve occuparsi di tutti gli aspetti di interesse della società e degli elettori. Cioè ne parla da politico e non da tecnico. Che va bene fino a un certo punto, perché, purtroppo per lui, tutti gli aspetti relativi all’energia sono prevalentemente tecnici.
Comunque, da politico ha diritto di chiedere quello che chiede, e cioè che in tutte le cose che si fanno ci sia la sicurezza assoluta. Anche se a supporto di questa richiesta dice un mucchio di cose tecnicamente sbagliate.

C'è però una cosa, nel politico Di Pietro, che proprio non mi piace, soprattutto quando parla di energia. E cioè la metodologia molto berlusconiana con cui lo fa.
Dice cose che fanno effetto, le dice senza fornire dati a supporto né quali siano le possibili conseguenze, le dice in modo roboante in TV ripetendole forte e spesso, e finisce lì. Come Berlusconi, appunto.

Cito testualmente quanto detto da Di Pietro a Porta a Porta:
«Credo che oggi ci siano le condizioni per poter dire che non conviene il nucleare sul piano economico, sul piano della sicurezza, sul piano dell’ambiente, sul piano della salute, e che ci siano altri sistemi alternativi per produrre la stessa quantità di energia nucleare con minori danni, più sicurezza e in maniera più economica».
La frase è bella, peccato che non sia vera. Certamente non lo è sul piano economico. Sul piano della sicurezza dipende da cosa si intende: infatti non è vera se si intende la sicurezza delle forniture energetiche, la sicurezza del sistema industriale, la sicurezza geopolitica del Paese. Anche sul piano dell’ambiente e della salute l’affermazione è discutibile, e certamente non è vera in assenza di rilevanti incidenti nucleari.
Questo è il punto. Ogni discorso contrario al nucleare si basa sull’ipotesi di rilevanti incidenti. Cosa tutt’altro che banale, anche perché, per contro, ogni affermazione pro-nucleare deve necessariamente basarsi sull’ipotesi che non avvengano incidenti rilevanti.

Su questo punto è sicuramente doveroso riflettere e dibattere. Personalmente credo che il nucleare sia necessario anche con i rischi che implica, e cercherò nei prossimi giorni (qui diventerei lunghissimo) di spiegare in dettaglio perché. Altri ritengono con ogni diritto il contrario.
Discutiamone dunque, ma discutiamone, non facciamo i berluscones. Come invece fa Di Pietro.

Cito ancora, testualmente, quanto ha detto nel programma di Bruno Vespa:
«Se è vero come è vero che il petrolio e il metano finiscono prima o poi, è anche vero che anche l’uranio finisce prima o poi. Se è vero come è vero che dobbiamo comprare all’estero il petrolio, è anche vero che anche l’uranio dobbiamo comprarlo all’estero. Se è vero come è vero che una centrale nucleare produce un certo quantitativo di energia è anche vero che oggi come oggi ci sono tecnologie moderne e più avanzate come il solare, l’eolico, le biomasse, il geotermico in grado di produrre la stessa quantità di energia con minore danno. Se è vero come è vero che in Giappone c’è stata una forte e imprevedibile scossa di terremoto, è vero che anche in Italia ci può stare».

Di Pietro ha sparato queste affermazioni, e non ha poi aggiunto un solo dato di spiegazione. Ma nessuna di queste affermazioni è vera, nella sostanza di un corretto discorso energetico. Altro che «se è vero come è vero». Ma ne riparliamo punto per punto nei prossimi giorni.

sabato 3 luglio 2010

Già molto numerose le centrali nucleari "galleggianti" nel mondo

La Russia ha annunciato il prossimo varo di centrali nucleari galleggianti.
Secondo quanto riferisce The Voice of Russia, nei Cantieri Baltici di San Pietroburgo è stata realizzata una chiatta predisposta per il contenimento di due reattori nucleari da 35 MW ciascuno. Del tipo utilizzati dai rompighiaccio a propulsione nucleare in servizio in Russia da circa 50 anni.

La base galleggiante è lunga 144 metri e larga 30 ed ha una durata di vita stimata in circa 40 anni. E presenta una lunga serie di vantaggi. A cominciare dal costo dell’energia generata, che è stimato pari a circa la metà del kWh prodotto da una centrale nucleare a terra, anche considerando i costi di smantellamento, infinitamente inferiori, e quelli delle infrastrutture ausiliarie ridotte, ad esempio per la trasformazione e il trasporto dell’elettricità, visto che le centrali possono essere situate a ridosso dei luoghi di utilizzo.
Inoltre, appunto, la centrale può essere rimorchiata presso qualsiasi località costiera, dove può elargire elettricità o calore o produrre acqua potabile. Si tenga peraltro conto che 70 MWe (equivalenti a 300 MW termici) sono sufficienti a coprire la domanda di elettricità e/o calore per usi civili di una città con 500 mila abitanti (calcolando un consumo medio non da Paese in via di sviluppo, ma italiano, pari cioè a circa 3.000 kWh/anno per famiglia).

L’unica osservazione che mi viene in mente è che è errato affermare che quelle russe saranno le prime centrali nucleari galleggianti. Certo saranno le prime realizzate per fornire energia ad usi civili. Ma alla fin fine che cosa sono, se non centrali nucleari galleggianti destinati alla produzione e distribuzione di energia, i centinaia di reattori installati sulle navi e sui sommergibili a propulsione nucleare?

Ho già avuto occasione di citare questi particolari reattori nucleari. Ma forse è il caso di ricordare che negli ultimi 55 anni sono stati realizzati oltre 400 sottomarini a propulsione nucleare, di cui un numero variabile tra 160 e 190 – i militari non sono il massimo nel fornire informazioni esatte! – sono ancora in servizio negli USA, in Russia, Francia, Gran Bretagna e Cina. E inoltre un discreto numero di navi di superficie: 9 rompighiaccio (di cui 7 ancora in esercizio), 3 navi da trasporto (1 in esercizio), 1 nave per ricerche scientifiche, 14 incrociatori e 12 portaerei (tutte operative, 1 francese e 11 americane).

Da notare che la gran parte di questi natanti sono dotati di reattori di ben altra potenza rispetto ai 35 MW della nuova centrale galleggiante russa. Di regola, infatti sono dotati di uno o due reattori di potenza unitaria compresa tra i 100 e i 200 MW. Anzi, la portaerei USA Enterprise costituisce la più incredibile concentrazione di energia al mondo. Da circa 50 anni, infatti, solca i mari con a bordo 8 reattori da 120 MW cadauno, per una potenza effettiva imbarcata di ben 960 MW. Quanto basta per soddisfare la domanda elettrica per usi civili di oltre 7-8 milioni di cittadini italiani.

mercoledì 30 giugno 2010

Un paio di dubbi sugli investimenti per la fusione nucleare

La fusione nucleare è una sorta di chimera. Una specie di creatura improbabile (energia illimitata, con poco impatto ambientale, a basso costo, sviluppata da tutto il mondo congiuntamente, senza rischi di proliferazione militare, senza rischi di incidenti con gravi contaminazioni nucleari) la cui unica caratteristica certa è il tempo necessario per averla disponibile. Circa 50 anni. È infatti da 60 anni, oggi come allora, che si continua a dire con convinzione che «sarà disponibile tra 50 anni».
 
In realtà non sappiamo ancora se sia tecnicamente realizzabile con le tecnologie attuali, e tanto meno sappiamo se potrà essere economicamente concorrenziale. Però ci si crede, al punto che si investono cifre favolose. Solo per il progetto ITER si parla di oltre 10 miliardi di euro, ma globalmente la cifra è di decine di miliardi l’anno.

Ci sono molti motivi per appoggiare la fusione nucleare. A cominciare dal fatto che si tratta ancora dell’unico vero grande progetto di cooperazione globale (USA, Unione Europea, Russia, Cina, Giappone, India, Corea e altri). Inoltre le grandi sfide danno sempre grandi risultati, anche se non sempre nella direzione sperata. Nel caso della fusione, ad esempio, immagino che solo le ricerche sui nuovi materiali avranno ricadute più che importanti per molti e diversi settori industriali.

Tuttavia sono anche certo che se domattina sul monte Tabor scendesse dai cieli Albert Einstein in carne ed ossa a chiedere 100 miliardi di euro sull’unghia (è il minimo che si possa oggi prevedere per ipotizzare un reattore a fusione commerciale) in cambio della promessa di darci FORSE una fonte di energia sicura, pulita e illimitata tra 50 anni …. beh! secondo me quel “forse” ci farebbe dire al caro vecchio Einstein che apprezziamo molto l’idea, che siamo felici che sia tornato dall’al di là per rendersi ancora utile, ma purtroppo c’è la crisi, ci sono urgenze sociali maggiori e quindi - non ce ne voglia - preferiamo non rischiare.

Nel frattempo, però, quei 100 miliardi nel mondo verranno spesi nel giro di tre decenni, e altrettanti, se non di più, ne abbiamo già spesi da 60 anni in qua.
Il punto non è se si debba o no investire per la fusione nucleare. Certo che si. Mi resta però il dubbio se la mole di spese sia adeguatamente sotto controllo, visto che è piuttosto difficile scoprire quanto in realtà si spende, per cosa e con quali modalità. E soprattutto mi resta il dubbio se non sia il caso di ridurre queste spese di una ragionevole quota - diciamo del 10% - da destinare alla ricerca sulle altre fonti. Ad esempio per il fotovoltaico.

Resto del parere che è assurdo puntare sul fotovoltaico come si sta facendo allo stato attuale della tecnologia. Cioè con gli alti costi e con la modesta resa di conversione del fotovoltaico attuale. Ma certo se ci fosse un programma di ricerca internazionale che al fotovoltaico destinasse anche solo 1 miliardo di euro l'anno per dieci anni (l'equivalente del solo progetto ITER), probabilmente entro un decennio le cose sarebbero molto diverse, sia per i costi, sia per la resa dei pannelli.

lunedì 28 giugno 2010

I mali del sistema circolatorio ... scusate: energetico

La disponibilità di energia è la cosa più importante in una società industrializzata. È un po’ come il sangue in un organismo: se si ferma il flusso, l’organismo muore.
Una cosa talmente importante che si dà per scontata, evitando in modo quasi scaramantico di parlarne sul serio, di porsi davvero la questione della sua disponibilità.
Che è quello che si fa anche per il sangue. Al massimo si controlla qualche parametro e si lavora su quello: sulle piastrine se risultano un po’ basse, si assume ferro se i globuli rossi scarseggiano e così via. Ma si può vivere ponendosi continuamente la questione se la circolazione sanguigna funziona o meno? DEVE funzionare. Salvo poi tentare cure radicali quando ci si accorge che un male trascurato ci lascia poco tempo. Allora non si guarda più a spese e pazienza per i possibili effetti collaterali. Solo che spesso è troppo tardi.

Un tentativo di analizzare Il valore sociale dell’industria energetica in Italia è stato fatto dal Censis in un rapporto presentato nei giorni scorsi (scaricabile dal sito del Censis previa semplice registrazione). Un rapporto che dovrebbero leggere tutti e obbligatoriamente i politici e gli amministratori pubblici.

I dati evidenziati dal Censis
sono imponenti.
L’importazione, la produzione e la distribuzione di energia (in tutte le sue forme) produce un fatturato annuo di oltre 230 miliardi di euro, dà lavoro in modo diretto a circa 118 mila addetti (oltre a 80.000 nell’indotto, ma sono dati probabilmente sottostimati: l’Istat, ad esempio, calcola che gli occupati diretti siano più di 141.000), realizza investimenti sul territorio per almeno 16 miliardi di euro l’anno, sperimenta continuamente nuove soluzioni tecnologiche, produce un gettito fiscale considerevole (anche in termini di imposte indirette, come le accise, che nel 2008 ammontavano a oltre 23 miliardi di euro solo per l’autotrasporto) e ovviamente consente di vivere a praticamente tutti gli altri comparti (agricoltura, sanità, industria, servizi eccetera).

È bene tenere presente che una analisi solo quantitativa, non potrà mai rendere appieno la reale importanza dell’energia. Il cui valore è anche propriamente esistenziale, come credo sia facile comprendere se, estremizzando, proviamo per un momento ad immaginare la nostra vita senza elettricità, senza gas e senza carburanti.

Ma anche restando nell’ottica del settore industriale ci sono due criticità che il Censis evidenzia (definendole “due rischi potenziali, in parte già attuali”) e sulle quali, per quanto ben note, è sempre più indispensabile riflettere.

La prima è la farraginosità delle procedure autorizzative a livello nazionale e territoriale, unita alla forte conflittualità locale per le infrastrutture, che sta determinando una situazione di blocco degli investimenti, sia nell’ambito dello sfruttamento delle risorse energetiche nazionali, sia in quello delle fonti rinnovabili.

La seconda è la carenza di una politica energetica di medio lungo termine, che sta determinando un impoverimento tecnologico, di competenze e di capacità. E che ci sta portando a rinunciare a svolgere un qualche ruolo di rilievo internazionale, diventando solo importatori di prodotti e tecnologie.

domenica 30 maggio 2010

Fotovoltaico e occupazione del suolo

Molto interessante la nota pubblicata da Enerblog dal titolo Costi e occupazione del suolo di nucleare, eolico e solare.
Nota costituita da una tabella, elaborata da Enerblog, che sostanzialmente evidenzia l’enorme occupazione di suolo necessaria alle fonti rinnovabili per generare la stessa quantità di energia di una centrale nucleare.

I dati sono questi: una centrale nucleare EPR da 1.600 MW (quelle proposte da Enel per l’Italia) produce 12,6 miliardi di kWh/anno, occupando più o meno 20 ettari, cioè una superficie di 1.000 x 200 metri .

Per produrre la stessa energia con il vento occorrono 8.400 MW, istallando circa 3.500 aerogeneratori, che occupano direttamente (cioè in modo esclusivo) 4.200 ettari (un’area di 10 x 4,2 chilometri), e indirettamente 84.000 ettari (52 x 16 km, ovviamente utilizzabili anche per altri usi, ma, altrettanto ovviamente, non per tutti gli usi).

Nel caso del solare occorrono 10.500 MW per il fotovoltaico e 5.400 MW per il solare termodinamico con collettori cilindro-parabolidi. L'occupazione diretta ed esclusiva di suolo che ne deriva è – secondo Enerblog – di 7.800 ettari per il fotovoltaico (10 x 7,8 km) e di 12.643 ettari per il termodinamico (km 15,8 x 8).

Non ho obiezioni per quanto riguarda l’eolico e il solare termodinamico.Invece l’occupazione del suolo del fotovoltaico mi risulta molto maggiore di quanto stimato da Enerblog.
Ho provato a fare un po’ di conti e credo che l’errore fatto sia stato quello di confondere l’occupazione del suolo con la superficie dei pannelli. Ma le centrali non sono costituite da una unica ininterrotta superficie di pannelli. Lo sarebbero se fossero disposti orizzontali al suolo. Invece sono necessariamente posti in file con una precisa inclinazione, il che implica la necessità di distanziarli per evitare che gli uni ombreggino gli altri.
Ne deriva che l’occupazione effettiva ed esclusiva di suolo è molto maggiore alla sola superficie dei pannelli.

Faccio riferimento ai dati riportati nell'articolo Fotovoltaico e territorio, di Domenico Coiante dell'Enea, che è senz'altro uno dei maggiori esperti italiani.
Coiante effettua calcoli dettagliati sulla base dei migliori pannelli in silicio policristallino. Concludendo che l’energia prodotta è di 187 kWh per metro quadrato di pannello. Ma considerando gli spazi per evitare l’ombreggiamento, la generazione elettrica scende a 75 kWh per ogni metro di suolo occupato.
Sulla base di questo parametro, il suolo necessario a produrre con il fotovoltaico 12,6 miliardi di kWh/anno (l’energia prodotta dalla centrale nucleare e dai suoi 20 ettari di suolo occupato) è di 168 km quadrati (10 x 16,8 km). Molto più dei 78 km calcolati da Enerblog.

lunedì 24 maggio 2010

Nucleare e competitività globale

Ieri l’altro ho assistito ad un dibattito sul nucleare presso il liceo Democrito di Roma. Un dibattito molto “minore” con due relatori (uno pro e uno contro), cui sono andato soprattutto per amicizia con il relatore “pro”, un giornalista scientifico mio amico. Soprattutto, ma non solo, perché trovo che in qualunque dibattito, anche quello apparentemente più insignificante, ci sia sempre qualcosa di interessante da recepire e su cui riflettere. E intendo non genericamente interessante, ma davvero interessante per capire cose che ignoriamo o non comprendiamo.

Infatti in quell’incontro, dato che le tesi del mio amico  le conoscevo (serve tanto il nucleare quanto le fonti rinnovabili), ciò che più mi ha interessato è stato il relatore “contro” (un ingegnere della Regione Lazio). Che ad un certo punto ho cominciato ad ascoltare affascinato, quando mi sono accorto che davvero stava teorizzando il fatto che il mondo non dovrebbe essere come invece è.

Ha citato le solite argomentazioni contro il nucleare (i costi, la sicurezza, il rischio sconosciuto eccetera, con scarsa efficacia perché era evidente che non fosse molto informato). Ma sotto sotto la sua argomentazione forte era questa: dobbiamo dire no al nucleare perché è una tecnologia che tende a perpetuare i difetti della società attuale, mentre le fonti rinnovabili vanno verso un mondo nuovo.

Beh! Mi sembra una argomentazione su cui davvero merita riflettere. Riflettere non in modo astratto (per quanto, su un tema simile, la stessa antica questione hegeliana  - se il reale sia o no sempre razionale - potrebbe essere un esempio di applicazione concreta di principi filosofici), ma praticamente su quali possibilità e quali mezzi abbiamo per creare un mondo nuovo .

È un argomento immenso, per cui (restando al tema dell’energia) mi limito a citare solo uno spunto offerto dal relatore di cui sopra. Secondo il quale il discorso sul nucleare, qui e ora in Italia, non deve essere affrontato in un’ottica globale. I cinesi, i russi, i finlandesi, i giapponesi si rimettono a fare decine di centrali nucleari? Affari loro. Noi italiani dobbiamo

venerdì 21 maggio 2010

La centrale nucleare di Olkiluoto sta insegnando qualcosa ai finlandesi?

Senza banalizzare troppo il discorso sull’opportunità o meno dell’energia nucleare, sono convinto che ci sia una domanda che mantiene tutta la sua validità. Se cioè sia credibile che gli italiani siano gli unici intelligenti al mondo, mentre tutti gli altri - la popolazione e l’industria dei Paesi industrializzati che utilizzano il nucleare - siano rincoglioniti e non sappiano farsi due conti in tasca, oltre a non avere alcun rispetto per l’ambiente in cui vivono e per il futuro dei propri figli.
È ovviamente possibile che gli italiani siano gli unici ad aver ragione e che tutti gli altri sbaglino.
In tal caso, tra questi altri, c’è una categoria di stupidi che più stupidi non si può. E sono i finlandesi.

Come noto in Finlandia (sull’isolotto di Olkiluoto) è in costruzione da alcuni anni il primo reattore EPR di III generazione, lo stesso, per intenderci, che Enel propone di costruire in Italia. Con risultati catastrofici, come sottolineano gli antinucleari nostrani, che non perdono occasione di ricordare i ritardi là maturati e il lievitare dei costi per sottolineare il fallimento economico e tecnologico del nucleare che si vorrebbe realizzare anche da noi. Ed è certamente vero che a Olkiluoto si accumulino ritardi e aumentino i costi rispetto ai piani di progetto, evidentemente non contando niente il fatto che si tratti di un prototipo assoluto, senza esperienze precedenti da far valere.

Ebbene, che ti fanno quei coglioni di finlandesi? Pur con un simile macroscopico fallimento in casa, non ti vanno a pensare di realizzare altri 3 reattori simili?
Nei giorni scorsi sono state avanzate al Governo richieste per la costruzione di 3 nuove centrali. Due sono state approvate e una respinta (per ora, il discorso non è chiuso). Motivo: i progetti sono nell’interesse del Paese, che deve ridurre le emissioni di CO2 e anche la dipendenza dall’estero (di energia in generale e anche di elettricità, importata per il 17% dalla Russia).

Prima osservazione importante. Al governo di coalizione finlandese partecipano anche i Verdi, con 2 ministri su 16. I Verdi si sono opposti, e la proposta è stata accettata con 14 voti a favore e 2 contrari. Fine: i due Verdi si sono limitati a dire che vale la maggioranza e, ovviamente, non hanno certo minacciato di uscire dalla Governo.

Seconda osservazione: i proponenti delle 2 centrali approvate sono dei consorzi industriali che ritengono di poter finanziare autonomamente i progetti (non sono previste garanzie economiche governative), guadagnandoci sopra. E - guarda caso – uno dei due è lo stesso consorzio che sta realizzando la nuova centrale di Olkiluoto. Sono davvero pazzi? No, loro conoscono esattamente i motivi dei ritardi di costruzione (tre anni) e gli aumenti di costo (del 50%, a 4,5 miliardi rispetto ai 3 di progetto), ma ritengono di aver imparato abbastanza dagli errori del passato, e sono convinti di poterli non ripetere in futuro.

Credo che anche su questo gli italiani farebbero bene a riflettere su. Dove per “italiani” intendo i normali cittadini. Non gli antinuclearisti, per i quali consigliare riflessioni di questo genere credo sia tempo perso.

giovedì 13 maggio 2010

Perchè il nucleare produce energia di alta qualità e le rinnovabili no

In uno degli ultimi commenti, un anonimo amico mi invita a spiegare cosa si intende per qualità dell’energia elettrica («Sarebbe interessante anche che spiegassi come fa l'energia ad essere di qualità diverse...manco fosse vino...»).
Effettivamente mi è capitato più volte di confrontare la “scarsa” qualità dell’energia prodotta dalle fonti rinnovabili, con quella di “alta qualità” delle centrali nucleari, senza entrare in ulteriori dettagli. Mi rendo conto che sia un discorso complesso e quindi provo qui a chiarire, per quanto possibile in uno spazio non troppo lungo e senza termici eccessivamente tecnici.

Con qualità dell’energia elettrica si intendono soprattutto due cose (ce ne sono altre, ma da un punto di vista tecnico queste sono le principali):

1.
  la continuità dell’alimentazione, cioè la fornitura costante senza interruzioni . Il problema non è solo di evitare black out di ore o minuti, ma anche le microinterruzioni, che, pur potendo durare solo un quarto di secondo, sono dannose per i sistemi elettronici
2.  la qualità della tensione, intesa come corrispondenza della forma d’onda dell’elettricità che abbiamo (ampiezza, frequenza, variazioni eccetera.) rispetto alla forma d'onda ideale dell'energia che vogliamo.

Garantire queste due cose è tutt'altro che semplice.
Per quanto concerne la continuità dell'alimentazione, ad esempio, in  Italia ci sono circa 1,4 milioni di km di linee elettriche, di cui più di 900 mila km in bassa tensione. Inoltre del sistema elettrico fanno parte svariate migliaia di cabine primarie di trasformazione da alta a media tensione, centinaia di migliaia di cabine secondarie da media a bassa tensione (solo Enel ne ha circa 400 mila) e varie altre cose.
Si tratta cioè di un sistema enermemente complesso dove qualunque cosa accade ad un impianto, ad un componente o a un tratto di linea si ripercuote (o rischia di ripercuotersi) a cascata sui componenti e le linee a valle.

Tuttavia la complessità non è data solo dall’imponenza delle cifre. Infatti il problema non è solo di garantire la continuità delle forniture, ma anche di fare in modo che

martedì 11 maggio 2010

No al nucleare, si all’energia zimotermica e tationica

«Le centrali nucleari» ha affermato per l’ennesima volta Antonio Di Pietro oggi a Torino, in occasione della presentazione della raccolta firme sui tre referendum che l'IDV propone contro la privatizzazione dell'acqua, il nucleare e il legittimo impedimento «potevano avere un senso negli anni'70, non quarant'anni dopo, quando altri modelli energetici sono stati individuati dalla tecnologia. Pensiamo che con gli stessi soldi, anzi con meno, si possa fare meglio sul fronte dell'energia».

Di Pietro, però, non dice quali sarebbero le tecnologie alternative. Insomma, dal mio modo di vedere, anche lui preferisce non correre il rischio di azzardare ragionamenti e trova che renda di più la demagogia. In modo non dissimile (per quanto gli consentano i non confrontabili mezzi di cui dispone) dal Berlusconi che intende combattere.

Ho provato a documentarmi sulle politiche energetiche alternative che l’IDV propone, ma senza risultati. Niente, né sul sito dell’IDV e nemmeno nelle interviste degli esponenti del partito o nelle relazioni di convegni cui hanno partecipato.
Sul sito oggi ci ho passato un’oretta per essere sicuro che non mi sfuggisse qualcosa di significativo. Ma non ho trovato né dati né riflessioni motivate, solo brevi dichiarazioni (no al nucleare) e la proposta programmatica Ambiente e qualità della vita, ove l'argomento è liquidato con tre parole e una virgola (No, Centrali nucleari). E basta.

Eppure Di Pietro dovrebbe sentire fortissima l’esigenza di dare qualche informazione, qualche elemento di conoscenza ai suoi elettori. Che, a giudicare dai commenti alla pagina programmatica sull'ambiente, ne hanno davvero bisogno.
In tale pagina sono presenti oggi 261 commenti. Di cui 40, se non ho contato male, parlano anche di nucleare (compresi 5-6 moderatamente a favore). Beh! Leggerli è stato come immergersi in una sorta di antologia dell’assurdo. Pochissime valutazioni basate su dati, magari di parte o solo per sentiti dire. Quella che si percepisce è una opposizione irrazionale, controbilanciata - nelle intenzioni - da auspici che invitano piuttosto ad utilizzare centrali a osmosi, le correnti marine, le centrali eoliche d’alta quota (ognuna delle quali produrrebbe nello spazio la stessa energia di una centrale nucleare occupandone a terra lo stesso spazio fisico). E poi la fusione fredda, le centrali nucleari di 4 generazione e la «energia nucleare non radioattiva». Senza dimenticare, ovviamente gli auspici a favore dell’energia zimotermica e di quella tationica, sulle quali - e lo dico senza ironia – sarei lieto se qualcuno mi illuminasse almeno un po’.

lunedì 10 maggio 2010

Paura del nucleare e informazione disponibile

I fautori del nucleare sostengono che la gran parte degli oppositori è mossa soprattutto da ignoranza in materia. La gente ha paura di quello che non capisce, e la tecnologia nucleare è indubbiamente complessa e molto tecnica, richiede impegno per una comprensione adeguata. Ne deriva che i “problemi” per lo sviluppo del nucleare sono soprattutto di informazione e di educazione, cioè, in pratica, sociali e politici.
Ma non ci sono sforzi per informare ed educare i cittadini, cosa che perpetua la disinformazione e quindi l’opposizione.
Da sostenitore dell’energia nucleare devo dire che trovo il ragionamento abbastanza convincente. Se una cosa non la si conosce è comprensibile che possa far paura. E di fronte al dubbio, al timore dell’ignoto, è anche comprensibile che non si vogliano correre rischi, che non si voglia lasciare la vecchia via per la nuova ....
Ma se anche tutto ciò è vero, come fare passi in avanti?
Confesso che su questo tema vedo implicazioni che mi lasciano con poche convinzioni certe. Detto chiaramente non so bene cosa pensare. Perché indubbiamente la soluzione (in un senso o nell’altro) deve necessariamente essere cercata in una maggiore informazione. Solo che l’unica informazione che abbiamo è quella generica e mirata ad accrescere le vendite da un lato e la tendenza a delegare la riflessione e la critica dall’altro cui ci ha abituato la TV commerciale. Siamo campioni in questo, dimenticando che l’informazione di per sé – poca o molta che sia – non corrisponde a “conoscenza”.
Invece è proprio di accrescere il livello di conoscenza (e poi anche di partecipazione) ciò di cui questa società ha bisogno, visto che i cittadini sono sempre più spesso chiamati a dare la loro opinione su politiche e scelte che implicano aspetti tecnologici, economici e sociali talmente complessi e talmente tecnici che anche i cosiddetti esperti hanno difficoltà ad affrontarli.

Il problema non è solo per l’accettazione o meno del nucleare. È un problema che riguarda tutto in questo Paese, dalle fonti rinnovabili alle modalità di sviluppo sostenibile, fino a scelte locali e che altrove potrebbero sembrare quasi banali, come la realizzazione di una infrastruttura viaria, di una ferrovia o di un qualsiasi impianto industriale.

sabato 8 maggio 2010

Povertà energetica e tecnologica


Probabilmente non è nuova, ma io non la conoscevo e mi è piaciuta. L'ho tratta da un intervento di Costantino Lato (GSE) ad un convegno sulle "Fonti rinnovabili e scenari energetici al 2020" tenutosi ieri presso la sede del GSE a Roma.
Al di là della battuta, comunque, la vignetta merita qualche riflessione, in merito allo spirito antiscientifico e antitecnologico che mi sembra si stia diffondendo. Non è che la tecnologia sia la soluzione di tutto, ma 7 miliardi di persone possono vivere e prosperare solo con un maggior ricorso ad essa, non illudendosi che se ne possa fare a meno.

venerdì 30 aprile 2010

Un confronto tra eolico e nucleare

In un precedente post sulla questione dell’Alcoa (Ma la vicenda dell’Alcoa ci insegnerà qualcosa sui prezzi dell’elettricità?) un anonimo ha commentato: «Il nucleare è inutile e costoso, con qualche torre eolica si potrebbe risolvere il problema dell'energia x la produzione dell'alluminio all'Alcoa».
È una argomentazione che fa cadere le braccia, ma evidentemente solo a chi ha qualche conoscenza sulle tecnologie energetiche. Conoscenze che però sono molto poco diffuse, e non solo nell'opinione pubblica meno informata.

Ne ho avuto un ulteriore esempio proprio oggi.
Ho assistito ad un incontro pubblico (organizzato a Roma dalla Fondazione Ugo La Malfa) sulla crisi greca e le relative problematiche europee. Roba di cui so poco e che ho trovato molto interessante, ma difficile da seguire, anche perchè erano tutti economisti di elevato livello. Nel pubblico c’era un ingegnere (solo così si è definito, a parte il nome) che è intervenuto con osservazioni molto puntuali, possibili solo per un buon conoscitore di mercati finanziari. A fine dibattito abbiamo scambiato qualche commento e ho fatto "casualmente" cadere il discorso anche su questioni energetiche, tra le poche su cui non rischio di sembrare uno sprovveduto. Essendo lui un ingegnere (ma non so di che tipo), scioccamente ho pensato che dovesse essere competente anche di energia. Invece mi sono trovato di fronte la stessa osservazione dell’anonimo commentatore del post sull’Alcoa. Anche lo sconosciuto ingegnere si chiedeva perché non si potenziasse l’eolico invece di parlare di nucleare, a parte gli aspetti paesaggistici che, comunque, a lui non creavano problemi.

Di nuovo mi sono cadute le braccia. Per cui mi pare opportuno fare almeno un paio di precisazioni sull’eolico, trascurando per una volta gli aspetti economici.

1.   L’eolico non può garantire in modo affidabile la fornitura di energia, soprattutto per potenze elevate, come sono non dico quelle di una cittadina, ma nemmeno quelle di

giovedì 29 aprile 2010

Nucleare, TV ed emotività

Ho seguito in TV uno speciale sull’energia nucleare, con un intervento di Ermete Realacci (Legambiente), ovviamente contrario.
 
Per sostenere la sua posizione antinucleare Realacci snocciola la solita serie di argomentazioni. Io sono favorevole e sono altrettanto pronto a snocciolare la mia solita serie di argomentazioni. Qualcuno convincerà l’altro?

Non ci sono argomentazioni da sostenere, studi e dati da esibire, esperienze da divulgare. Le posizioni pro o contro il nucleare credo siano impermeabili ai ragionamenti.
Alla fin fine la partita si giocherà tutta sull’emotività.

Ha ragione Berlusconi: non resta che convincere gli italiani, e le televisioni sono il mezzo migliore per farlo. E visto che le televisioni le gestisce lui, possiamo ragionevolmente ipotizzare che presto gli italiani saranno massicciamente filonucleari.
Non che questo voglia automaticamente dire che, poi, si riesca a realizzare velocemente il programma nucleare. Ma comunque, da filonucleare, dovrei esserne lieto.
Invece la cosa mi deprime
.

E non solo perché ritenga che una battaglia per la riduzione dell’inquinamento e delle emissioni di gas serra, per un sistema energetico più sicuro e competitivo, per un Paese meno dipendente dall’estero e con infrastrutture più efficienti dovrebbe essere – almeno questo – condiviso da tutti, senza distinzioni di parti politiche. Quello che sopra ogni cosa mi deprime è che tutta questa storia, alla fin fine, si sta risolvendo in una ulteriore, tragica sconfitta della volontà di basare le scelte sulla razionalità, sulla capacità di programmare e agire di conseguenza.

E la cosa non mi sembra una sconfitta solo dal punto di vista energetico. Ma anche da quello più generale delle speranze del Paese. Perchè riesco a capire - ho difficoltà ad accettarlo, ma capisco - che il raziocinio abbia difficoltà a prevalere sull'emotività in questioni che sono in qualche modo legate all'humus sociale in cui si vive e percepite come prevalentemente personali (es: identità culturale e territoriale, percezione della sicurezza individuale, sensibilità etica e morale, solidarietà sociale eccetera). Ma proprio non capisco come si possa mettere volutamente da parte il raziocinio (o la cultura, se preferite) e si ricorra all'emotività anche per questioni strettamente tecniche, come l’energia.

Al riguardo c’è un’accusa che viene sovente rivolta agli esperti di energia nucleare, che la dice lunga su tutto ciò. Ed è quella che non sarebbero giudici obiettivi nelle loro scelte energetiche, perché, appunto… esperti di nucleare. E quindi, si dice, non obiettivi, filonucleari per necessità.

È un’accusa vecchia. Veniva fatta anche a gente del calibro di Edoardo Amaldi negli anni ’70, che, in occasione della Conferenza sulla sicurezza nucleare tenutasi a Venezia nel 1980, così rispose:
«Il punto sorprendente che è venuto fuori è che, nel prendere una decisione sull’energia nucleare, ci si debba guardare dai competenti in quanto possono essere non completamente obiettivi. L’argomento è veramente straordinario, soprattutto se eretto a norma di comportamento di fronte a importanti decisioni: esclusi i competenti restano i meno competenti, cioè gli incompetenti. Al limite, più grave è il problema da affrontare e risolvere e più incompetenti debbono essere le persone maggiormente ascoltate o che si debbano assumere la responsabilità delle decisioni. In qualsiasi Paese del mondo questa sarebbe un’ottima barzelletta, ma, qui da noi, tale orientamento trova chi gli dà voce e trova ascolto da parte di un’ampia fascia dell’opinione pubblica».

domenica 18 aprile 2010

Tranquilli, sul nucleare forse stiamo scherzando!

Il “tranquilli” del titolo è ovviamente rivolto a chi è contrario al nucleare. Per chi, come chi scrive, è convinto che si tratti di una opzione indispensabile (che in futuro dovremo perseguire in ogni caso, anche se, poi, a esclusivo vantaggio di altri Paesi) le cose si mettono male. Tanto per cambiare.

Il fatto è questo. Con ancora nelle orecchie lo strombazzato accordo nucleare italo-francese dei giorni scorsi, venerdì scorso il nostro Consiglio dei ministri avrebbe dovuto fare il grande passo sull’indispensabile Agenzia nucleare, approvandone lo Statuto e le nomine, in ritardo ormai da 5 mesi.
Invece niente da fare: se ne riparla a maggio. Pare che i Ministeri dello Sviluppo economico e quello dell’Ambiente non riescano a mettersi d’accordo né sul testo dello statuto, né sulle nomine. I soliti grandi problemi italiani.

Ovviamente basterebbe che Berlusconi si ricordasse di essere un politico del “fare” e mettesse in riga la Prestigiacomo (Ambiente) e Scajola (Sviluppo economico), ma c’è da giurare che di questi tempi abbia altro cui pensare.
In ogni caso, ora come ora, visto l’accumulo di ritardi su tutti gli aspetti del nucleare (nomine, Agenzia, depositi di stoccaggio, siti eccetera) è ben difficile che si riescano a rispettare i tempi che tuttavia il Governo continua a sbandierare. Cioè mettere la prima pietra della prima centrale entro il 2013.

Anche perché dalla metà di quell’anno (sempre che non ci siano clamorose sorprese nei prossimi giorni all’interno della coalizione governativa) dovremmo essere di nuovo in campagna elettorale. E mutatis mutandis, ci ritroveremmo nella situazione che abbiamo appena vissuto con le elezioni regionali: nucleare? meglio non impegnarsi per non perdere voti.

Strada in salita, dunque? Altro che salita, qui finisce che le imprese nucleari, più che ingegneri, dovranno assumere alpinisti. E, intanto, chi glielo dice a Enel, Edf, Confindustria, Ansaldo eccetera che è stato tutto uno scherzo?

domenica 11 aprile 2010

55% italiani favorevoli a nuovi impianti nucleari

Accenture (una delle maggiori società di consulenza a livello internazionale) ha pubblicato in questi giorni i risultati di un sondaggio sulla percezione dell’energia nucleare condotto contemporaneamente in 20 Paesi, tra cui l’Italia. Una indagine evidentemente complessa, che ha richiesto davvero molto tempo per l’accorpamento dei dati e le valutazioni, visto che le interviste sono state effettuate nel novembre 2008.

Riporto qui le principali evidenze relative all’Italia (la brochure completa sull’indagine – in inglese – è possibile richiederla qui).

Il 55% del campione italiano è favorevole all’installazione di nuovi impianti nucleari e il 49% è accetterebbe che questi impianti siano costruiti nella propria Regione. Tuttavia il 56% opta piuttosto per l’installazione di nuovi reattori all’interno delle ex centrali esistenti.
Da un punto di vista più generale, però, dovendo fare scelte nette, solo il 10% del campione punterebbe esclusivamente sul nucleare, il 27% opterebbe per uno sviluppo congiunto di rinnovabili e nucleare, mentre il 63% preferirebbe solo le energie rinnovabili (tra queste: l’energia solare, eolica e idraulica sono tra quelle più “votate”, mentre è interessante notare che solo il 34% ritiene efficace la riduzione dei consumi).

Complessivamente, il supporto all’energia nucleare è cresciuto in Italia del 34% negli ultimi 3 anni, ma nello stesso tempo il 15% del campione è meno favorevole a questa scelta rispetto a 3 anni fa. Il 65% del campione ritiene che, alla fine, il nucleare svolgerà un ruolo importante nella futura produzione nazionale di energia elettrica.

Infine da sottolineare il ruolo dell’informazione, che resta decisivo: il 62% del campione italiano ritiene di essere poco o per nulla informato sulla strategia energetica adottata in materia di nucleare.

Non ho considerazioni da fare. Confesso che questo tipo di indagini mi lasciano alquanto perplesso, convinto come sono che nell’attuale società dell’informazione (nel senso di come viene fatta, l’informazione) siano sufficienti pochi giorni di forzatura televisiva di un qualsiasi evento, pro o contro il nucleare, per spostare una quota rilevante dell’opinione pubblica da un campo all’altro.