lunedì 28 giugno 2010

I mali del sistema circolatorio ... scusate: energetico

La disponibilità di energia è la cosa più importante in una società industrializzata. È un po’ come il sangue in un organismo: se si ferma il flusso, l’organismo muore.
Una cosa talmente importante che si dà per scontata, evitando in modo quasi scaramantico di parlarne sul serio, di porsi davvero la questione della sua disponibilità.
Che è quello che si fa anche per il sangue. Al massimo si controlla qualche parametro e si lavora su quello: sulle piastrine se risultano un po’ basse, si assume ferro se i globuli rossi scarseggiano e così via. Ma si può vivere ponendosi continuamente la questione se la circolazione sanguigna funziona o meno? DEVE funzionare. Salvo poi tentare cure radicali quando ci si accorge che un male trascurato ci lascia poco tempo. Allora non si guarda più a spese e pazienza per i possibili effetti collaterali. Solo che spesso è troppo tardi.

Un tentativo di analizzare Il valore sociale dell’industria energetica in Italia è stato fatto dal Censis in un rapporto presentato nei giorni scorsi (scaricabile dal sito del Censis previa semplice registrazione). Un rapporto che dovrebbero leggere tutti e obbligatoriamente i politici e gli amministratori pubblici.

I dati evidenziati dal Censis
sono imponenti.
L’importazione, la produzione e la distribuzione di energia (in tutte le sue forme) produce un fatturato annuo di oltre 230 miliardi di euro, dà lavoro in modo diretto a circa 118 mila addetti (oltre a 80.000 nell’indotto, ma sono dati probabilmente sottostimati: l’Istat, ad esempio, calcola che gli occupati diretti siano più di 141.000), realizza investimenti sul territorio per almeno 16 miliardi di euro l’anno, sperimenta continuamente nuove soluzioni tecnologiche, produce un gettito fiscale considerevole (anche in termini di imposte indirette, come le accise, che nel 2008 ammontavano a oltre 23 miliardi di euro solo per l’autotrasporto) e ovviamente consente di vivere a praticamente tutti gli altri comparti (agricoltura, sanità, industria, servizi eccetera).

È bene tenere presente che una analisi solo quantitativa, non potrà mai rendere appieno la reale importanza dell’energia. Il cui valore è anche propriamente esistenziale, come credo sia facile comprendere se, estremizzando, proviamo per un momento ad immaginare la nostra vita senza elettricità, senza gas e senza carburanti.

Ma anche restando nell’ottica del settore industriale ci sono due criticità che il Censis evidenzia (definendole “due rischi potenziali, in parte già attuali”) e sulle quali, per quanto ben note, è sempre più indispensabile riflettere.

La prima è la farraginosità delle procedure autorizzative a livello nazionale e territoriale, unita alla forte conflittualità locale per le infrastrutture, che sta determinando una situazione di blocco degli investimenti, sia nell’ambito dello sfruttamento delle risorse energetiche nazionali, sia in quello delle fonti rinnovabili.

La seconda è la carenza di una politica energetica di medio lungo termine, che sta determinando un impoverimento tecnologico, di competenze e di capacità. E che ci sta portando a rinunciare a svolgere un qualche ruolo di rilievo internazionale, diventando solo importatori di prodotti e tecnologie.

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