[ di Valter Cirillo ] È di questi giorni la notizia di un progetto per sostenere
la produzione di biomasse forestali a fini energetici in Sardegna. L’obiettivo
è di aiutare finanziariamente 400
aziende agricole, offrendogli contratti di 15 anni per la fornitura di
legno di eucalipto coltivato, da destinare alla generazione elettrica in un
impianto di Enel Green Power.
Qual è l'impianto in questione non viene detto, ma è facile indovinare che si tratta della centrale “Grazia Deledda” di Portoscuso (Carbonia-Iglesias), l’unica gestita da Enel in Sardegna che utilizzi biomasse.
La centrale, che ha una potenza complessiva di 590 MW, è composta da due sezioni a carbone, in una delle quali, da 350 MW, il polverino di carbone è miscelato con una quota di legno vergine triturato.
La capacità a biomasse dell’impianto è stata recentemente incrementata da 30 tonnellate l’ora alle attuali 45 t/h di cippato di legno, che fino a pochi anni fa erano interamente di importazione (prevalentemente dal Portogallo), mentre ora provengono in parte dall’estero e in parte da produttori sardi.
È quest’ultimo punto che mi preme sottolineare, quello della sostenibilità ambientale e sociale. Infatti a me sembra evidente che il sostegno alle coltivazioni energetiche, in aree rurali depresse e in terreni marginali, andrebbe favorito su larga scala. Esattamente per gli stessi vantaggi citati nel caso della Sardegna, ai quali aggiungerei anche il fatto che queste coltivazioni, se fatte in modo
intelligente, darebbero anche un contributo alla lotta contro il dissesto idrogeologico.
Curiosamente, invece, l’utilizzo delle biomasse a fini energetici in centrali e centraline termoelettriche è in assoluto la cosa maggiormente contestata in Italia: secondo l’ultimo Rapporto del Nimby Forum sono 83 i progetti di centrali a biomasse contestate, su un totale di 331 progetti di ogni tipo oggetto di contestazione. Un record, appunto.
La cosa è particolarmente curiosa se si considera che la
crisi economica degli ultimi anni ha portato ad un vero e proprio boom nell’uso
diffuso di biomasse legnose. Questo perché il minore reddito da un lato, e l’aumento
dei costi energetici dall’altro, porta tutti quelli che ne hanno la possibilità
ad aumentare l’utilizzo di caminetti e stufe a legna per il riscaldamento.
Ma,
contrariamente a come per antica abitudine si pensa, bruciare legna non è la cosa migliore per la salute, poiché la combustione libera
inquinanti tossici e cancerogeni, tanto più pericolosi in quanto emessi in
ambienti chiusi. Per giunta, nei caminetti non si brucia solo legno vergine,
ma spesso anche legno di recupero, che è frequentemente associato a sostanze
chimiche di vario genere. Con effetto inquinante che si somma agli altri
inquinanti emessi negli ambienti urbani da auto e caldaie per riscaldamento.
Molti lo dimenticano, e molti di più proprio non lo sanno,
ma la cattiva qualità dell’aria nelle aree urbane è – e di gran lunga – la prima
urgenza ambientale dell’Italia.
In realtà le cose non sono mai semplici, e l’uso delle
biomasse non fa eccezione. Si intrecciano aspetti complessi, che riguardano la
destinazione degli incentivi, gli usi diversi della materia prima (c’è il
grande discorso dei biocarburanti che andrebbe considerato), il fatto che una
cosa è auspicare corrette pratiche boschive, e altra cosa è controllare che
siano davvero fatte in territori orograficamente difficili come quelli italiani,
e molto altro ancora.
Ma, allo stato attuale, è certo che l’uso delle biomasse
nelle centrali è quello che garantisce la maggiore tutela ambientale. Sia per i
complessi sistemi di abbattimento degli inquinanti che sono presenti nelle
centrali, sia per il fatto che la fornitura della materia prima avviene nell’ambito
di accordi che prevedono corretti metodi di gestione delle coltivazioni, che le
aziende agricole hanno interesse a rispettare, per non rischiare di trovarsi a
lavorare senza uno sbocco commerciale.
Valter Cirillo
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