venerdì 5 marzo 2010

La rincorsa del nucleare nel bel Paese in declino

Sono stato tra quelli che oggi pomeriggio è andato a sentire la conferenza sul nucleare tenuta da Patrick Moore all’auditorium Enel di Roma.
Sapevo più o meno cosa avrebbe detto, ma ero curioso dei dettagli, in particolare in merito alla sua posizione di ex ambientalista d’assalto.
Oggi Greenpeace si spertica con fine dialettica a sostenere che non è vero che Moore è stato “Il fondatore dell’associazione”. Pura verità, che peraltro Moore non ha mai sostenuto, essendo stato “uno dei fondatori”.
Spero cogliate la sottile distinzione di Greenpeace, che davvero ha una bella faccia tosta nel disconoscerne il ruolo passato, visto che non si può certo negare che Moore sia stato per nove anni presidente di Greenpeace Canada e per sette anni direttore di Greenpeace International.

Non starò a sintetizzare la posizione filo nucleare di Moore, facilmente reperibile in rete (qui il suo famoso articolo Going Nuclear pubblicato sul Washington Post nel 2006).
Della conferenza voglio invece sottolineare i due punti che mi hanno maggiormente colpito.

Il primo riguarda la filosofia della disinformazione sensazionalistica e della contrapposizione basata sulla paura che – afferma Moore – pervade la costellazione ambientalista, e Greenpeace in particolare. È un aspetto di rilievo che merita più di una riflessione affrettata, per cui mi riservo di tornarci domani con più spazio.

Il secondo punto riguarda una domanda rivolta all’oratore da una giornalista americana (deduco dall’accento dell’inglese in cui si esprimeva, poiché non ne ho registrato il nome). Ha chiesto a Moore il suo parere su cosa si dovesse fare in Italia per recuperare oltre vent’anni di disinformazione ambientalista sul nucleare, tenendo anche conto «che l’Italia è un paese conservatore» ha detto, per poi sottolineare «davvero molto conservatore».
Non intendeva dire”politicamente di destra”, visto che si parlava di nucleare, che per ora è sostenuto solo dalla destra. Intendeva dire che siamo un Paese conservatore dentro, poco incline a rinnovarsi, incapace di guardare al domani invece di tentare solo (stupidamente, oltre che inutilmente) di conservare l’effimero livello di benessere già raggiunto.

Mi sono davvero vergognato, in qualità di rappresentate di un Paese industrializzato e cosiddetto tecnologicamente avanzato che, in quanto tale, per definizione dovrebbe essere in evoluzione continua.
E per la verità non mi ha consolato la risposta di Moore: «Television, television, television». Che è sicuramente la risposta giusta, visto che difficilmente il nucleare andrà avanti in Italia se non si registrerà un consenso maggioritario presso l’opinione pubblica. Ma - sempre nell’ottica di un Paese industrializzato, tecnologicamente avanzato e in competizione con altri Paesi industrializzati e tecnologicamente avanzati – mi è sembrato anche il suggello al nostro essere un Paese in declino. Dove l’informazione, la formazione, e la ricerca, in una parola la cultura, non riescono più a svolgere un ruolo funzionale all’evoluzione tanto delle persone, quanto dell’economia e dello sviluppo, e non resta altro che affidarsi alla comunicazione emotiva, all’indottrinamento, all’informazione superficiale.
Che non è una bella cosa, anche quando è al servizio di uno scopo giusto.

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