venerdì 8 gennaio 2010

Il vero peso delle politiche energetiche

L’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) non si stanca di ripetere che la questione energetica è, a livello mondiale, allarmante. Molto più – precisa – di quanto l’opinione pubblica stia percependo. E aggiunge che non ci sono soluzioni tra cui scegliere: c’è una sola soluzione, cioè il ricorso a tutte, ma proprio tutte le opzioni possibili.
Qualunque scenario si voglia immaginare, comunque si girino le cose, nei prossimi anni assisteremo ad un incremento molto forte dell’uso dei combustibili fossili e, in particolare, dei consumi di carbone, in un quadro che vedrà la domanda energetica mondiale crescere di almeno il 40% entro il 2030.
Non so quanto questo semplice concetto sia presente all’opinione pubblica italiana, o quanto meno a quella parte di opinione pubblica che continua a gingillarsi con l’idea che si possa fare a meno del nucleare, che si debba puntare solo sulle fonti rinnovabili o che la nostra principale fonte di energia debba essere il risparmio e l’efficienza energetica.

La realtà mondiale è un’altra, come ben sanno Paesi quali la Germania o la Danimarca (per citarne solo due molto cari agli antinucleari italiani), che si danno certamente da fare sulle fonti rinnovabili, ma che coprono quasi l’80 % della propria domanda elettrica con il carbone (la Danimarca) o con il carbone e il nucleare (la Germania, per il 50% con il carbone e il 29% con il nucleare).

La realtà mondiale è data anche dal reale peso politico delle scelte energetiche europee. Un peso che, seppur indirettamente, è stato molto efficacemente evidenziato dal Ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, la quale, commentando il fallimento del summit di Copenaghen, ha detto senza mezzi termini: «mesi e mesi di trattative sono stati vanificati dal G2, cioè dall'accordo tra USA e Cina i cui presidenti, a un certo punto, si sono visti cinque minuti in albergo e hanno mandato a monte tutto».

È forse opportuno ricordare che nel biennio 2006-2007 la Cina ha messo in servizio 205.000 nuovi MW elettrici, più del doppio dell’intera potenza elettrica realizzata in Italia nell’intero secolo trascorso. E l’80% di quella nuova potenza è stato a carbone: oltre 160.000 MW che hanno emissioni annuali di CO2 pari a quelle di tutte le centrali elettriche (di ogni tipo) dei 27 Paesi UE.

Come pure è opportuno ricordare che l’obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2 che si è data la UE (meno 20% al 2020) rappresenterà (seppure verrà raggiunto) solo qualche punto percentuale dell’incremento di gas serra che invece si registrerà nel resto del mondo al 2020.

Le fonti rinnovabili forniranno (dovranno fornire ) un importante contributo alla domanda energetica mondiale. Ma non oggi, non tra dieci anni.

Quello che abbiamo oggi è che le nostre industrie non riescono a competere perché pagano l’energia elettrica dal 30 al 50% in più degli altri Paesi europei (dati OCSE confermati dalla UE). L’ultimo caso, di questi giorni, è quello dell’Alcoa (produzione di alluminio) che sta chiudendo gli impianti di Portovesme (Carbonia-Iglesias) e di Fusina (Venezia) per l’unico motivo che paga l’energia elettrica a prezzi giudicati non competitivi. Altri 2.000 lavoratori a spasso che rendono solo un flash tra i tanti - ma questo si, concreto, reale - di quanto pesino le scelte energetiche di un Paese.

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