lunedì 18 gennaio 2010

Chi rema contro il nucleare, nel mare di gas?


Uno dei maggiori esperti italiani di energia, Giovanbattista Zorzoli (nella foto), ha pubblicato un paio di giorni fa sulla Staffetta Quotidiana (una agenzia di informazione specializzata in energia, necessariamente letta solo dagli operatori di settore, dato il costo di abbonamento) un commento dal titolo “Chi rema contro il nucleare”. Nel quale illustra con efficacia quanto pesantemente il settore elettrico nazionale sia sbilanciato sul gas: nel 2013 ci saranno in Italia non meno di 213 centrali a ciclo combinato a gas per una potenza complessiva di circa 50.000 MW, e questo in presenza di una domanda di picco che è poco superiore ai 55.000 MW. Impianti che non possono funzionare a piena potenza, perché non si saprebbe cosa fare dell’energia prodotta. E infatti nel 2008 i cicli combinati in esercizio hanno funzionato solo per 4.000 ore (meno del 50% delle 8.760 ore dell’anno), crollando poi sotto le 3.000 ore nel 2009.

Nel frattempo, per esigenze di diversificazione degli approvvigionamenti, si stanno realizzando impianti per la rigassificazione del GNL, che nel 2015 saranno in grado di rendere disponibile una ulteriore quantità di gas di circa 40 miliardi di metri cubi (ben più dei 34 miliardi di metri cubi bruciati dai cicli combinati nel 2008).
Inoltre si stanno realizzando un gran numero di impianti a fonti rinnovabili, per potenze che non sono eclatanti, ma che comunque incidono, visto che la produzione rinnovabile ha la precedenza su tutte le altre e che, quindi, ogni kWh verde immesso in rete va a togliere una pari quantità di kWh a gas.
Ma lo stesso discorso delle rinnovabili vale per l’eventuale produzione nucleare: una volta realizzate le centrali (cioè risolto il problema dell’investimento iniziale) il kWh nucleare verrà prodotto con spese irrisorie rispetto al kWh a gas. E quindi sarebbe assurdo non immettere in rete un kWh che viene poi (ripetiamo, dopo l’investimento iniziale) prodotto a costi bassissimi.

Stando così le cose, afferma Zorzoli, «non è azzardato ipotizzare sorde, ma non per questo meno efficaci, resistenze al nucleare da parte di un'importante frazione del mondo industriale italiano, che per altro già si sono manifestate con i tentativi di mettere il bastone fra le ruote ai meccanismi che garantiscono lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Dove però, oltre che sulla capacità di reazione interna, come in altri casi si può contare sui vincoli che ci impone l'Europa. Non è così per il nucleare. A maggior conforto di queste analisi, sono andato a rileggermi le vecchie carte che conservo sulle vicende del primo nucleare. Sarà un caso, ma l'accentuazione e l'allargamento delle proteste contro il programma nucleare di allora si sono avuti nei primi anni '80 (cioè molti anni prima del referendum che nel 1987 ci fece uscire dal nucleare, n.d.r.), in coincidenza con l'avvio della realizzazione del gasdotto Algeria-Italia».

A commento posso solo aggiungere che capisco il punto di vista degli operatori del gas. Con la liberalizzazione del mercato è caduta ogni tentativo di pianificazione energetica, con la quale si sarebbe potuto tentare di diversificare le fonti di energia e i Paesi di provenienza, nonchè pianificare una ordinata realizzazione di nuovi impianti in funzione delle aree di consumo e della rete. Si è invece consentito a chiunque fosse in grado di speculare sulle opportunità finanziarie offerte dalla debole struttura energetica italiana. Con il risultato che si sono realizzate solo centrali a gas, cioè quelle più funzionali agli investori, perchè a minore intensità di capitale iniziale e con minori tempi di realizzazione (anche la speculazione ha le sue esigenze!). Peccato che siano anche quelle più costose, in termini di energia da pagare in bolletta. Ma se io avessi investito centinaia di milioni con l’obiettivo di lucrosi guadagni entro pochi anni, beh! confesso che mi seccherebbe alquanto se ora mi vedessi sacrificato in favore di altre fonti di energia più convenienti, più sicure nel medio-lungo termine e senza emissioni di CO2.

Ma allora occorre anche chiedersi se è un dovere sacrificarsi per l’interesse di chi ha speculato sul gas, o se non sia invece il caso di pensare al bene comune.
Se si preferisce l'interesse nazionale, è proprio questo il momento di investire sul nucleare. Perché i prezzi del petrolio e del gas stanno già tornando a salire e saliranno molto nei prossimi anni, perché le fonti rinnovabili sono necessarie ma anche costosissime e perché il gas non è eterno.
Nella sostanza è prevedibile che la situazione energetica internazionale rimanga sotto controllo (seppure a costi via via crescenti) per una decina di anni. Che è giusto il tempo che ci rimane per diversificare il nostro mix energetico e impostare un sistema elettrico che tenga conto anche dei costi, della sicurezza delle forniture e della necessità di ridurre le emissioni. E, fortunatamente, è anche giusto il tempo necessario per realizzare le nuove centrali nucleari, oltre che iniziare a ridurre i costi delle fonti rinnovabili.

2 commenti:

  1. 2050 secondo IEA: fonti rinnovabili coprono quasi la metà della produzione mondiale di elettricità.

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  2. rinnovabili + nucleare, e con lo scenario di maggior sviluppo delle fonti carbonfree....

    sempre a dimenticarti un pezzo, eh?

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