mercoledì 25 novembre 2009

Un mito moderno: le scorie radioattive

Per chi volesse meglio comprendere cosa sono e come vengono messi in sicurezza i rifiuti del ciclo elettronucleare, consiglio caldamente la nota di Marino Mazzini pubblicata in Archivio nucleare. È un testo lunghetto, con qualche inevitabile dettaglio tecnico, visto che l'autore è professore ordinario del raggruppamento “Impianti nucleari” presso l’Università di Pisa.


E' però anche un testo chiaro e convincente, dettato dall'esigenza - afferma Mazzini - che «non è più possibile tacere di fronte alla strumentalizzazione del rischio nucleare di alcuni gruppi della nostra società. Essi, sfruttando la paura della gente, hanno fatto di tale rischio una vera e propria costruzione intellettuale per i propri scopi politici e personali (carriera), distorcendo completamente la verità. In realtà, anche nel caso delle scorie nucleari i tecnici del settore operano in modo da imitare la natura (o quanto fatto da Dio, per i credenti), in quella ricerca dell’eccellenza per quanto concerne sicurezza dell’uomo e tutela ambientale che caratterizza tutta l’ingegneria nucleare, e non nel modo barbaro ed irresponsabile che è implicito nella rappresentazione che di tali attività danno in generale i media».

In questo blog tralascio i dettagli tecnici (chi vuole può leggere qui il testo completo di Mazzini). Riporto invece integralmente alcuni paragrafi di interesse più generale che ho trovato particolarmente interessanti.

[…] «In realtà tutto ciò che è presente sulla Terra (piante, animali, rocce, il nostro stesso organismo, gli oggetti che usiamo quotidianamente, l’acqua che beviamo, i cibi che mangiamo, ecc.) è radioattivo, con una radioattività media dell’ordine di 0,1-1 Bq/g (Bequerel per grammo). Questo ed altre sorgenti di radiazioni naturali, come i raggi cosmici, comporta per tutta l’umanità una dose naturale di radiazioni (in media 2 milliSievert all’anno), a cui l’organismo umano si è certamente adattato nelle decine di migliaia di generazioni che ci hanno preceduto su questa Terra. Ma la radioattività naturale e di conseguenza la dose naturale di radiazioni è molto variabile da punto a punto della superficie terrestre, con valori in alcune aree doppi, tripli ed in qualche caso anche 10 volte superiori ai valori medi sopraindicati, senza che questo comporti differenze nello stato di salute o nell’attesa di vita delle popolazioni che vivono in tali zone rispetto a quelle che vivono in zone vicine con simili caratteristiche per quanto riguarda clima, diete alimentari, contesti economici, sociali, ecc. Ad es. nel nostro Paese gli abitanti del Viterbese e della zona dei Campi Flegrei sono soggetti a dosi di radiazione 2-3 volte la media nazionale, ma la mortalità per cancro in tali zone non è diversa da quella degli abitanti delle altre zone del Lazio o della Campania. Per fare un altro esempio, la radioattività dei blocchetti di granito usati per pavimentare Piazza S. Pietro è così elevata da dare un’intensità di dose oltre 10 volte il fondo naturale medio in Italia, comparabile con quella della zona di 30 Km di raggio interdetta alla popolazione attorno al famoso reattore di Chernobyl (ma a nessuno è venuto in mente di interdire l’accesso a Piazza S. Pietro della gente per la pericolosità della situazione!)».

[…] Sulla terra esistono situazioni analoghe a quella di un deposito sotterraneo di scorie nucleari che dimostrano l’improbabilità dell’eventuale risalita verso l’ecosistema dei prodotti radioattivi, in periodi di tempo dell’ordine delle ere geologiche. In Canada, nella zona del Cigar Lake, esiste una formazione minerale con contenuto di uranio, e quindi di prodotti delle relative catene di decadimento (radio, polonio, ecc.), assolutamente eccezionale: fino al 60% in peso. Il minerale uranifero si trova in profondità, separato dal materiale sabbioso sovrastante da uno spessore di argilla. In superficie non c’è alcuna traccia anomala di radioattività o di elementi radioattivi derivanti dalle catene di decadimento dell’uranio, nonostante che uno di questi (il Radon) sia un gas nobile, completamente inerte dal punto di vista chimico, che si libera facilmente in atmosfera.

In un altro analogo naturale, ad Oklo, in Gabon, c’è una formazione minerale simile a quella di Cigar Lake per concentrazione di uranio, ma senza lo strato di protezione di argilla; l’acqua può quindi penetrare liberamente nel terreno. Due miliardi di anni fa, questo portò a condizioni tali che decine di depositi divennero critici e funzionarono naturalmente come reattori nucleari, in modo intermittente, per un milione di anni, originando tutta la gamma dei prodotti di fissione e di attivazione che si producono negli attuali reattori nucleari. Queste sostanze pericolose sono rimaste in loco, con spostamenti limitati al massimo ad alcune decine di metri, in un terreno assolutamente normale, certamente non selezionato per poterli trattenere. Come risultato, tra gli ecosistemi e le popolazioni che vivono nell’area e quelli in aree contigue, con clima, habitat e abitudini di vita simili, non è possibile evidenziare differenze apprezzabili».


«Merita un’ultima considerazione il concetto di eredità lasciata ai posteri in termini di scorie radioattive, che è in stretta relazione con quello di sostenibilità. Considerare i depositi di materiali radioattivi che ci si appresta a realizzare un fardello troppo pesante per le generazioni future implica che il progresso tecnologico debba improvvisamente fermarsi o indietreggiare e che i nostri posteri, vestiti di pelli ed armati di clave, risulteranno esposti ad un rischio per loro tremendo e incomprensibile. Al contrario, considerando i risultati ottenuti dallo sviluppo tecnologico in pochi secoli di scienza sperimentale, è invece lecito supporre che le nostre odierne preoccupazioni faranno sorridere i nostri pronipoti, che avranno a disposizione conoscenze ben più profonde ed ampie delle nostre. Talora si suggerisce che i depositi potrebbero diventare per loro miniere di materiali utili.
Pertanto, anziché ostacolare lo sviluppo tecnologico con miti e leggende terrorizzanti, ben al di là di ovvi criteri di prudenza, sarebbe bene mettere tutto il nostro impegno nel rendere sempre più umano e solidale il contesto in cui esso avverrà, così da crescere contemporaneamente nella conoscenza e nella responsabilità».

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